Testo di Erri de Luca


Nelle scritture sacre si dà in dote alla creatura umana la saggezza di cuore.

È per noi moderni una contraddizione: abbiamo dato il primato della saggezza alla scatola cranica e assegnato al muscolo cardiaco l’impulsività sregolata dei sentimenti, dall’odio all’amore. Il cuore è diventato per noi una pompa emotiva da governare col sedativo ordine dell’intelletto. La scrittura sacra sente diversamente, il cuore è la sede dell’incontro e dello scambio con Dio: “E servirai Iod/Dio tuo Elohìm con tutto il tuo cuore, con tutto il tuo fiato e con tutte le sue forze”

(Deuteronomio/Devarìm 6,5). L’intelletto, il cranio, il ragionamento, la conoscenza semplicemente non vengono invitati a partecipare, inservibili all’incontro. Salomone, il saggio dei saggi, chiede a Dio il dono di un “cuore che ascolta” per poter adempiere alla missione di re. Viene esaudito, la saggezza di cuore è la sua velocità di riflessi per reagire da pronto. Chi ha forza di credere attinge al cuore o inaridisce.

Oggi un cuore disegnato su un muro, su un giornale fa pensare a un pezzo di ricambio per trapianti, non alla rappresentazione della persona intera. Oggi dubitiamo di cuore, lo imbrigliamo di guide, a fin di bene, per non farlo soffrire, poverino, per non farlo agitare. Lo trattiamo come un nonno malato.

Perciò a contrasto fa allegria la parata di cuori di Ježek, che li manda a spasso ben ossigenati di rosso, ammaccati di viola, ubriachi, indipendenti, esposti alle intemperie, presi in giro, al laccio, i nostri cuori a vela in tempo di bonaccia, bendati al gioco della moscacieca, grossi quanto un pugno chiuso, i nostri cuori che battono a due tempi, uno per stringere e uno per lasciare, uno per abbracciare e uno per respingere, uno per correre e uno per fermarsi, i cuori che così ci hanno insegnato le rime e il valore del due, numero a parte che non sta tra la solitudine dell’uno e la formazione di attacco della trinità, ma presiede alla forza chimica della coppia, molecola di alleanza che spiega il successo della nostra specie sul pianeta, sangue che si ramifica e biforca in due, come i vasi del cuore alle periferie.

Torniamo a dargli retta, torniamo sui suoi battiti, ascoltiamolo sul petto della persona amata, lasciamo che essa poggi il suo orecchio sul suolo delle nostre costole. Facciamoci rappresentare dalla macchina semplice della vita, dalla sua marcia insonne, siamo corpi di sangue non di silicio, a scandire il tempo non abbiamo una clessidra nel torace sinistro ma il tumulto dei colpi. Lasciamo che parlino di lui non i gendarmi ma i poeti, per esempio Nazim Hikmet: “Non è un cuore, è un sandalo di pelle di bufalo che cammina senza stancarsi, cammina senza spaccarsi va avanti su strade di sassi.”