Rassegna Stampa

 

Ježek, Questioni di cuore

Cuori infranti sui marciapiedi, cuori sotto la mannaia o che invece veleggiano felici, auto con gomme a forma di cuore e cuori miopi o dall’aria professorale con gli occhiali. Spezzati o con i tacchi a spillo sono come il primo amore, non si scordano mai i cuori firmati Mojmir Ježek che da dieci anni illustrano sul Venerdì la rubrica di Natalia Aspesi.

Cuori che ora diventano una mostra e un libro. Oggi pomeriggio alle 18 alla libreria Feltrinelli di via Manzoni 12 verrà infatti presentato il libro «Batticuori/ Heartbeats» che raccoglie cento di queste illustrazioni amorose, frutto

di infinite variazioni sul tema ispirate agli «Esercizi di stile» di Raymond Queneau e, sempre in libreria, fino alla fine del mese, si potrà visitare una mostra di disegni originali di Jezek. A festeggiare i dieci anni di collaborazione tra parole e tratti poetici ci saranno l’autore Ježek e Natalia Aspesi che del pittore, illustratore,

architetto e vignettista è una fan accanita: «È stato un incontro fortunato perché il tratto morbido e misterioso di Ježek ha reso inconfondibile la mia rubrica. Impossibile non fermarti davanti a una finestra dove si affacciano cuori trafitti da pugnali, bocche a cuore, cuori, cuori sempre molto rossi, di un rosso festoso».

di Caterina Pasolini

La Repubblica Milano, 11/11/2004

Intervento di Cristina Acidini alla Mostra “BATTICUORI”

La Feltrinelli , Firenze 2004

Avrei accettato in qualsiasi momento e circostanza di rivolgere attenzioni ai quadri di Mojmir Ježek, come lettrice assidua della rubrica Questioni di cuore condotta da Natalia Aspesi sul “Venerdì” di “Repubblica”, e dunque come estimatrice, più curiosa ad ogni settimana che passa, delle illustrazioni (o se preferite, dei contrappunti figurativi) di Ježek, aventi ormai da tempo per unico protagonista il cuore: anzi un’intera serie di cuori, visibile in cataloghi a stampa e in siti quali www.batticuori.de.
Ma poiché credo che certi incroci di segni, che qualcuno chiama coincidenza e altri destino, vadano accolti con grande attenzione nella propria vita, non tacerò che un forte motivo per accettare definitivamente l’invito a presentare il libro Batticuori/Heartbeats è stato il fatto che la telefonata dell’amico Riccardo Monni per la conferma e gli ultimi accordi mi ha raggiunto in un luogo singolare. E mi spiego. In vacanza in Val Badia, nulla di strano che mi trovassi (la non-sciatrice della famiglia) con altre amiche non-sciatrici in un negozio di articoli da regalo. Di tali negozi sono piene le valli altoatesine, con profitto per gli artigiani locali e detrimento del gusto globale, intendo quello degli acquirenti, indotti a portarsi nelle lontane e inadatte case oggetti rigorosamente inutili e per di più, pur nella qualità sovente apprezzabile dell’esecuzione manuale, insulsi. Tra i pochi negozi interessanti è quello, per l’appunto, dove ricevetti la telefonata, a Corvara. E quasi non riuscivo a credere che Riccardo mi parlasse di cuori, mentre il mio sguardo si posava sugli infiniti cuori che costituiscono il logo e il nerbo del negozio: di ogni dimensione, materiale e colore, in legno e latta, perline e stoffa, cuoio e pietra, rossi soprattutto ma anche bruni, verdi, bianchi. Un tripudio, un universo di cuori grandi e piccini, grassi e magri, semplici e decorati e quant’altro.
Colpita da quel segno – forse, per un residuo nel DNA della fiducia tutta etrusca nell’aruspicina, disposta a trarre presagi da un volo d’uccelli, da un fegato o da un fulmine – non solo accettai, ma mi misi a comprare cuori a man bassa e, di ritorno a Firenze, sfogliai il catalogo di Ježek con particolare soddisfazione progettando di regalargli, per l’appunto, un cuore.
Da storico dell’arte e in genere dell’immagine, la prima domanda che mi si è presentata riguardava la genealogia figurativa del cuore: quando il cuore, considerato sede dei sentimenti e specie dell’amore, diventa soggetto autonomo, protagonista indipendente, interlocutore distinto dall’essere umano che lo ospita? Di dialoghi col cuore se ne incontrano in tutta la letteratura, fino a quelle forme di poesia popolare e divulgata che sono i testi nella musica leggera. “Mio cuore tu stai soffrendo”, “Finché il cuore ce la fa” cantavano negli anni ’60 del Novecento Rita Pavone e Ornella Vanoni; più di recente Céline Dion ci assicurava che “The heart does go on”, nonostante che il Titanic fosse già affondato e Di Caprio affogato. E del cuore in moto è ulteriore esempio il fortunato titolo tamariano, “Va’ dove ti porta il cuore”.
“Sursum corda” o “In alto i cuori” sono esortazioni nel sacro e nel profano. “Due cuori e una capanna” è la proverbiale sintesi dell’amore fervido e di poche pretese, che si avvale della sineddoche (figura retorica dove una parte sta per il tutto, come “prore” per “navi” secondo l’usurato ma sempre elegante esempio desunto dall’Iliade tradotta da Vincenzo Monti, ben prima della rilettura di Baricco), e che proprio dalla sineddoche trae il suo vigore icastico: pensate alla povertà semantica di un eventuale “due persone e una capanna”, che fa subito vita grama da boscaioli. E così via.
Ma nella storia delle immagini, l’autonomia del cuore quando inizia?
L’arte delle antiche civiltà estinte soccorre fino a un certo punto. Nell’Egitto dei Faraoni, si credeva che dopo la morte il cuore del defunto venisse pesato sul piatto di una bilancia, dove doveva equilibrare la piuma di Maat posta sull’altro piatto. Presso alcune popolazioni dell’America precolombiana il cuore veniva strappato palpitante dal petto della vittima umana appena sacrificata, ma se pure ce ne siano raffigurazioni, preferisco ometterle. Cuori famosi, da paragonare al fegato etrusco di Piacenza o ai falli romani di Pompei, non ne sono emersi. Anche tra gli ex voto, fenomeno di devozione popolare con testimonianze antiche e moderne, abbondano arti e viscere ma il cuore dilaga in tempi relativamente recenti, quando cioè la medicina ascrive al muscolo che governa la circolazione sanguigna l’importanza che merita, e ne riconosce le patologie.
Intanto nella civiltà occidentale il cuore diventava la stabile sede dei sentimenti e in particolare dell’amore. Nell’allegorismo del XVI secolo, che si impegnò a mettere in figura ogni tipo di concetto, il cuore estratto dalla persona divenne attributo di virtù positive come la Carità e la Concordia. Ma il trionfo visivo del cuore ormai autonomo si ebbe nell’arte sacra del secolo successivo, man mano che si formavano e si diffondevano le iconografie della Madonna dei Sette Dolori e del Sacro Cuore di Gesù. Visibili attraverso il petto delle venerande Persone, il primo è attraversato da sette spade, il secondo coronato da una viva fiamma d’amore (donde la popolare giaculatoria: “O Gesù d’amore acceso / non V’avessi mai offeso. / Sacro Cuore di Gesù / non Vi voglio offender più”).
La forma del cuore era stata, a quel punto, definita e stilizzata: bilobata in alto, aguzza in basso, con un’eventuale inclinazione della punta a sinistra. Il colore, rosso acceso. E’, ormai, sigla imperante in motivi ornamentali e oggetti d’ogni genere, che vive il suo trionfo nelle ricorrenze che la società occidentale dedica ad affetti particolari, San Valentino o la festa della Mamma. Per questo profilo sinuoso sarebbe inutile cercare un paragone in natura, se non in certi elementi vegetali come le foglie di ciclamino o di viola mammola. E’ una forma convenzionale autoreferenziata, che si definisce in quanto tale e si applica a ogni oggetto che la imiti o la ricordi: bocca “a cuore”, scollo “a cuore”, taglio di gemma “a cuore”, stampino da biscotto “a cuore” e via all’infinito.
Nel processo di simbolica fuoriuscita del cuore dal corpo ebbe, credo, parte non piccola la fervida immaginativa gesuita. Nessuno come gli scrittori della Compagnia di Gesù ha saputo guardare al Creato e interpretarlo in ogni suo aspetto visivo come metafora di Dio. Una tale desta sensibilità allo sguardo dell’occhio e dell’immaginazione era stata promossa dal fondatore stesso dell’ordine, Ignazio di Loyola, nato forse nel 1491, morto nel 1566, canonizzato nel 1622. Egli nei suoi Esercizi spirituali aveva raccomandato al fedele il massimo impegno nel raffigurarsi, come in un teatro della mente, i fatti della religione con particolare concentrazione sui tormenti dei martiri e sulla Passione di Cristo (Mel Gibson non ha inventato niente), in tutti i loro icastici dettagli di efferatezza. Entro questa visionaria matrice ispanica penso possa esser motivata la nascita di una icona in fondo innaturale e conturbante, qual è il cuore “esterno”. Non a caso mi è occorso di vedere soltanto in Spagna, in una chiesa a Valencia, un Sacro Cuore scolpito (penso a cavallo tra l’Otto e il Novecento) in forma anatomica corretta, e quindi all’insegna di uno sconvolgente naturalismo che non risparmia al fedele l’intrico di vene e di arterie intorno al muscolo e perfino l’attacco dell’aorta.
Questi, e certo anche altri, i fatti storici e storico-artistici che compongono una genealogia minima del cuore di Ježek, protagonista indiscusso di miriadi di situazioni, altamente simboliche nel loro ironico e ingannevole naturalismo.
In Batticuori/Heartbeats, così come in altri scritti e saggi dedicati al lavoro ormai decennale di Ježek sul tema, si commenta giustamente la gran quantità di variazioni di cui l’autore si dimostra capace, grazie a una incessante metamorfosi di ambientazioni e di attributi.
Il suo cuore è non di rado sofferente per le più svariate pene d’amore. Trafitto (i Sette Dolori!), ardente (il Sacro Cuore?), barellato, bendato, ingessato, incerottato, ingabbiato, infranto, maldestramente incollato, bruciato, perforato, accoltellato, confinato, rinchiuso, buttato via, scagliato a terra. Capace però di allegria e di libertà: dondolante in altalena, volante come un palloncino, convertito in fiore, francobollo, occhiali da “Lolita”, balena. Alimentare: addentato, affettato, infilzato, trasformato in anguria, bonbon, torta, gelato, uovo-cuore-all’occhio! Sexy: ornato di pizzi, sistemato al posto della bocca, del seno, del delta di Venere. Indicatore e tecnologico: specchio, orologio, semaforo, floppy disk, schermata, “at” (chiocciola) con tanto di codina a spirale, a simboleggiare un’entusiasmante novità di questi anni, l’amore al tempo dell’e-mail.
Il tratto di Ježek è sicuro ma morbido, grazie anche alla complicità del cartoncino preparatorio grigio dal modulo quadro, che assorbe e attenua ogni durezza grafica. Nitido nei tratti ambientali  (pareti, cassetti, suppellettili varie), si addolcisce nelle curve generose del cuore che ha, spesso, inoffensiva e arrotondata anche la punta. Non meraviglia che nelle sue creazioni artistiche Ježek usi anche la gommapiuma, materiale ideale per ottenere geometrie senza spigoli e spessori senza durezze.
Il colore è costante, tranne poche eccezioni: rosso magenta scuro in ombra e rosa in luce, a definire volumi consistenti ma non gonfi. E’ un rosso tendente al porpora, ben diverso dal carminio, dal vermiglione, e soprattutto dal sangue: dunque non cruento né carnale, ma semmai suggestivo d’una sensualità cerebrale, intimista e appena malinconica. Spiccano i pochi cuori d’altre tinte, bianco quello ghiacciato, nero quello carbonizzato, verde smeraldo (e spinosi!) i tre riuniti a formare un cactus.
Ma, il cuore: è poi “un” cuore? O sono tanti, una folla, un popolo? Le proporzioni aiutano a capire. Accantonati i cuori decontestualizzati e solitari, privi di riferimento di scala, osserviamo quelli accompagnati da oggetti o da parti umane, e vedremo la loro straordinaria varietà dimensionale. E’ una catena di misure che va dal gigante al pigmeo, passando per il monumentale (il cuore-arena) il grandissimo (il cuore-balena) il grande (il cuore-coperchio di pianoforte) il medio (i cuori-oggetti vari) il decisamente piccolo (i cuori-occhiali, bocca, delta di Venere). Sono tanti e vari quant’è tanta e varia l’umanità che li esprime. E hanno gli arti! Sì, qualcuno ha le braccine per compiere piccoli gesti e qualcuno anche le gambette, come i miei preferiti, quelli che inscenando un amplesso compongono l’emblema della felicità perfetta, quando i sentimenti e i sensi si uniscono, e da qualche parte, non visibili e meno attraenti – mi piace immaginare – anche i cervelli vivono il loro momento d’estatica fusione.
Ma non ha mai gli occhi, il cuore di Ježek, tutt’al più occhiali neri, misteriosi, senza sguardo. Ed è bello che non li abbia: non gli sono dati strumenti per valutare, discernere, giudicare. Non compie atti critici che investono la sfera estetica. Non conosce il bello e il brutto, il cuore: sente, ama, soffre. Fa il suo mestiere, quel che si chiede al cuore.

Cristina Acidini

Direttrice Polo Museale Firenze

Apollo e Dafne reloaded

“Il Giornale dell’Arte” edizione online, 2 novembre 2010

Roma. È stato presentato oggi fuori concorso al Festival internazionale del film di Roma il video d'arte di Mojmir Ježek Apollo & Daphne reloaded in the 4th Dimension (Italia, 2009 – 10’). Grazie a una tecnica di manipolazione delle immagini simile a quella usata da Rybczynski in «The Fourth Dimension», Ježek, illustratore del quotidiano «la Repubblica», «fa muovere » il celebre gruppo scultoreo di Bernini. «La trasformazione di Dafne, ha scritto Claudio Strinati, viene raccontata con una delicata e appena mossa sequenza di immagini, che valgono molto più di tanti giudizi critici accumulatisi sull’opera nel corso dei secoli. Attraverso un racconto che è in parte tratto da quello originale del testo di Ovidio e in parte è arricchito e ampliato da Ježek stesso si arriva alla piena comprensione del senso profondo di quel capolavoro della scultura barocca. Il flusso delle parole supportato da una musica discreta e elegante viene percepito da chi guarda il video come immagine pura. Così facendo Ježek riesce a inverare la vocazione profonda del mirabile gruppo scultoreo berniniano, liberandolo della fissità inevitabile della materia e reinserendolo nel movimento del tempo.
Così chi osserva il filmato vede certamente l’ opera del Bernini ma la rivede con gli occhi di Ježek. Apollo e Dafne si animano di fronte a noi e ci trasportano in una dimensione di sogno e di levità che è quella stessa pensata da Bernini ma raggiunta con un diverso e complementare linguaggio visivo».

“Batticuori”

Dieci anni di cuori. Trafitti dalla passione, spezzati dal tradimento, imprigionati dai pregiudizi.

Sono quelli disegnati da Mojmir Ježek per illustrare la rubrica Questioni di cuore, che Natalia Aspesi cura per il Venerdì da un decennio, appunto.

Un cuore alla settimana per dieci anni, fa quasi cinquecento cuori. Tutti diversi, frutto di infinite variazioni sul tema ispirate agli Esercizi di stile di Raymond Queneau.

Eppure inconfondibili, per il tratto, per il colore, quel rosso magenta, il «rosso primario», che rende il disegno carnale e palpitante.

Cento di queste illustrazioni ora lasciano le edicole per finire in libreria nella raccolta Batticuori/Heartbeats (Core Edizioni, pp. 120, euro 16,00).

Il libro, con prefazioni di Natalia Aspesi ed Erri De Luca, sarà presentato l’11 ottobre a Milano, nella libreria Feltrinelli di via Manzoni 12 che ospiterà anche una mostra dei disegni originali di Ježek fino alla fine del mese. Poi i cuori rosso magenta cominceranno un viaggio che li porterà a toccare le principali città italiane. Il tour si concluderà a Roma, nel Megastore Feltrinelli della Galleria Sordi, guardacaso a ridosso di San Valentino.

E così, i cuori nati per sottolineare gli affanni sentimentali dei lettori conquistano una loro autonomia.

Ma conservano il legame con le lettere che li hanno ispirati. Come quello chiuso in una bottiglia, quasi fosse

un veliero in miniatura, di una ragazza che vuole conservare la verginità per donarla al grande amore. O i cuori-pasticcino che descrivono la bulimia erotica di chi divora gli amori frettolosamente. O ancora i cuori con tacco a spillo della seduttrice impenitente e quelli trafitti da una matita dell’adultero-poeta.

Il tutto in perfetta sintonia con chi a quelle lettere risponde non disegnando ma scrivendo. «Credo che anche per Ježek, come per me, l’incontro settimanale con gli amori, i cuori, le questioni di cuore degli altri, sia diventato poco a poco indispensabile: perché ci mette di fronte alla nostra idea dell’amore, dei sentimenti, perché ci procura emozioni», assicura Natalia Aspesi.

L’idea del libro è venuta dopo il successo della mostra di Castel dell’Ovo a Napoli nel 2001. Con la vendita del catalogo e delle serigrafie furono raccolti fondi per l’Istituto di cardiochirurgia infantile dell’Ospedale Monaldi. Pur sempre questioni di cuore.

Ježek, l'uomo dei cuori

Infranti, trafitti, e intrecciati. I cuori di Mojmir Ježek battono fino al 7 maggio nella "Fabbrica delle arti" di via Annibale De Gasperi. Disegnati dalla mano dell'artista romano per la rubrica "Questioni di cuore" di Natalia Aspesi, nascondono storie e passioni dei lettori del "Venerdì" di Repubblica declinando in modo inaspettato un sentimento universale. Con disegni e serigrafie, Ježek firma ed espone anche un pouf ralizzato con marchio "Fabbrica delle arti" dalla "Raro design". La collaborazione del disegnatore con l'artigianato locale si intensificherà nei mesi prossimi, realizzando originali souvenir per la città.

(servizio di Anna Laura De Rosa)

Ježek, per BBC World News

Estratto dal programma “The real...Rome”, una passeggiata nei luoghi prediletti e meno conosciuti all’estero. Un punto di vista personale su Roma.

Da Repubblica-Cronaca di Bari

Cuore si sa, fa rima con amore. Il simbolo supremo, il muscolo più gettonato del lessico lirico, l’organo vitale che popola in pari misura immaginario alto e basso, letteratura e canzonette, iconografia sacra, storia dell’arte e repertorio pop, è il protagonista assoluto delle celebre vignette che Mojmir Jezek pubblica ogni settimana sul “Venerdì” di Repubblica. Grafico, pittore, illustrato, l’artista romano di origine ceca ha creato l’efficace segnaletica visiva che accompagna la “Posta del cuore” di Natalia Aspesi. Per festeggiare il primo decennio della gettonatissima rubrica, cento variazioni sul tema proposte nell’arco di dieci anni sono ora diventate un libro,”Batticuore-Hearthbeats”, per le edizioni Core, ed una mostra con una quarantina di tavole dei disegni originari. Un “eros tour” colto e divertente,  che dopo Milano fa tappa stasera col suo autore alla libreria Feltrinelli di Bari (presentazione di Chiara Balestrazzi e Antonella Marino alle ore 20). Vederli  insieme è un bell’effetto. Delineati a matita con tratto sintetico e rotondo, palpitanti nel loro vivace rosso magenta, pensierosi o speranzosi, sofferenti o audaci, frantumati  o umanizzati, ma sempre fortemente ironici, i cuori di Jezek ci restituiscono con leggerezza vizi e virtù di un’inesauribile decalogo amoroso. Ce n’è per tutti i casi. Per l’innamorato deluso (un cuore ad ampolla per le trasfusioni) e per il seduttore senza complessi (un cuore da divorare con avidità). Per gli innamoramenti  tardivi e per le cotte  precoci, per i bulimici e per gli stitici. Cuori ammaccati (con stampelle) e cuori ammiccanti (a forma di labbra): a ciascuno il suo cuore in molteplici varianti, sulla falsariga di una citazione letteraria, gli “Esercizi di stile” di Raymond Quenau. Nel segno serio ma disincantato di quell’amore che vibra con gli stessi accenti in ogni cuore, oggi come secoli fa.